giovedì 12 gennaio 2012

UNA MEMORIA E UN APPELLO PER MARISA ZONI (1935-2011)

Marisa Zoni è nata a Castel San Pietro Terme (Bologna) nel 1935. Per quarant’anni ha insegnato lettere tra il nord e il centro Italia (Toscana, Lombardia, Marche, Emilia Romagna).

Testa o croce del soldone, il suo primo libro di poesie, è stato introdotto da Carlo Bo nel 1959.
La Zoni ha conosciuto e lavorato con alcuni tra i più grandi letterati e poeti del Novecento: da Paolo Volponi a Lalla Romano, da Vittorio Sereni a Roberto Roversi. Su suggerimento di Volponi fu proprio Vittorio Sereni nel 1966, quando era direttore editoriale della Mondadori, a cogliere la “carica innovativa e il forte radicamento dei suoi testi nelle passioni civili e nella quotidianità di quegli anni”. Per questo nel ‘67 la Mondadori dà alle stampe La scarpinata, un viaggio italiano “…dal tono eversivo con sorriso (l’ironia è dentro le immagini) con vaghe ascendenze da certo Palazzeschi e appena una coloritura qua e là all’Apollinaire”.

Il lavoro poetico di Marisa Zoni cresce ispirandosi sempre più alla critica e alla denuncia sociale.
Pier Paolo Pasolini sceglie e vuole pubblicare nel ’71 su “Nuovi Argomenti” (che ai tempi dirige con Alberto Moravia e Alberto Carocci) alcune sue poesie. Segue un lavoro trasversale e solo apparentemente minore in campo poetico, che porta Marisa Zoni a collaborare con pittori, scultori e incisori. Da ricordare tra le cartelle d’arte Per una terra isolata del 1974, con incisioni di Renato Bruscaglia e introduzione di Paolo Volponi che scriveva dei suoi testi: “… le parole accanite fanatiche strillate infilate l’una dietro l’altra in tante collanine variegate, che sembrano da mettere subito e facilmente, stabiliscono invece gli ordini di un canto superiore sorretto da regole, motivi e sintassi proprie”.
Nel 1978 pubblica in un collettivo con l’editore Guanda Dove l’Italia si vede di cui Giovanni Raboni scrive “…sarebbe bello leggere poesie come queste su un giornale… poche scritture si prestano più di quelle della Zoni a una sorta di doppia degustazione: la prima rapidissima, quasi vorace, la seconda più riflessiva e assordante”.
Verso la fine degli anni Settanta Marisa Zoni fonda una tra le prime associazioni in Italia che difendono i diritti civili dei tossicodipendenti. A Bologna collabora con la “Cooperativa Dispacci” fondata dal poeta Roberto Roversi (con cui nacque una grande amicizia mai interrotta) che scriverà nella prefazione de La quota rovente: “… è una bella e forte comunicazione questa della Zoni: vitale, attiva, spesso alta… sento di dover leggere il continuo ribattere sulla verità atroce della vita reale odierna, sminuzzata in queste pagine in cento frammenti che bruciano. Così ogni suo testo è come il pezzo bollente di una bomba appena esplosa”.
Il rifiuto di frequentare salotti e premi letterari, di accodarsi a convenzioni e conversazioni accademiche tra letterati, insieme alla crescente chiusura del mercato editoriale verso la poesia del Novecento, portano nei primi anni Novanta la Zoni ad autoprodurre tre nuovi libri (La quota rovente, Analisi di un’estate e La scommessa); e alcuni testi ad essere pubblicati anche su riviste non di settore e quotidiani (ricordiamo “l’Unita’” e “il Manifesto”). Con un’altra novità: la scelta di non rilegare le tre pubblicazioni, ma di lasciare liberi i testi di essere “scompigliati” e tolti dalla raccolta; scelta che va nella direzione di favorirne la circolazione e di permettere al lettore un vero e proprio uso di quelle poesie fuori dalla sacralità del libro.
Nel 1999 con l’editore Piero Manni di Lecce pubblica Come un metallo o un tamburo di cui Attilio Lolini scriverà su il Manifesto: “… un canto nero, tra Brindisi e Valona, vale la fede di un popolo compresso in una stiva; è come se la poesia azzerasse tutti i chiacchiericci televisivi, ne svelasse la malafede e le incongruenze, sì da renderli intollerabili”. Così, Gianni D’Elia su l’Unità: “C’è davvero una pietà comunista, nelle sue storie brevi, una critica all’ipocrisia… La Zoni a volte ci prende come la Merini, se non di più…”.
Verso la fine del 2004 pubblica con l’editore Pendragon la raccolta Tu paria dai mille occhi, anticipata da una pagina di Vauro intitolata non a caso “Da chi non legge poesia”.
La Zoni ci ha lasciato il 30 dicembre 2011 dopo una lunga malattia, dimostrando un estremo attaccamento alla vita, lo stesso che si ritrova nei suoi testi di forte impegno e denuncia sociale. E’ stata sepolta laicamente nel piccolo cimitero di Cerbaiolo, nel mezzo dell’appennino, tra Toscana, Marche e Romagna, nel comune di Pieve Santo Stefano (Arezzo) dove da qualche anno era ritornata.

Il figlio Stefano Mencherini spera fortemente di poter donare l’intera produzione letteraria anche inedita, i carteggi con poeti e intellettuali del secolo scorso, e quanto attiene alla sua attività di poetessa raccolta in 60 anni di impegno, a una università o fondazione o realtà che voglia valorizzarne il lavoro e rendere ancora vive le sue poesie.

Per contattare Stefano Mencherini: smencherini@libero.it