mercoledì 22 dicembre 2010

LETAME - DI DAVIDE GARITI

La giostra che muore,
la giostra ridente!

Appiedata negli angoli del mattino
si contorce nuda la gente,
sulle scrostate pareti
dove simboli dalla triste abiura
campeggiano a palmi aperti
con scritte eloquenti:
"che dir si voglia, abbasso
i comunisti, le serpi!"

dall'altro "i fascisti reietti"!

oh canuta madre che osservi
questo andare spedito
triste pergola al vento novembrino!

Tu che hai pasciuto i tuoi figli
nel gelo del mattino,
madre sempiterna gloria!
Scandisci adesso la tua agonia
fino al più ridicolo dei turpiloqui,
nella vanità maldestra dei tempi.

Scorre il fiume lento
sulle voci beffarde degli impiegati
al mattino, dove illese silhouette
si dirigono nel gelo di un impegno sociale,
padroni del loro destino! Come cani
che spingono in gola il boccone!
Fino alla sorda rinuncia di un nuovo pasto.

Disperso fra i campi, adesso, il polline
che vola violento dalle metropoli glaciali,
ne spande bruttura, su questi volti
di uomini in croce, sulle coscienze
vive a nuove speranze.

La quiete della miseria.


Davide Gariti

LA GLORIA DEL FASCISMO

di Jonata Sabbioni


La gloria del fascismo
Rileggendo l’ ”Appunto 67” di Petrolio di Pier Palo Pasolini.

Ogni potere è fascista. Ogni potere è destinato alla gloria perché in esso c’è l’assoluta dominanza del passato. E del mistero: il “mistero dei padri” che ucidono i figli e li sopravvivono. “Il mistero della vita dei padri è nella loro esistenza”, scrive Pasolini. Una esistenza che è preclusa ai figli. E’ taciuta. Diventa essa un valore da accettare e da assorbire e da credere. Senza comprensione. Senza redenzione. L’esistenza si vive col corpo. Il nostro corpo vive per noi; ascolta e si nutre per noi. Il nostro corpo è il solo testimone. Se non viviamo col corpo noi non esistiamo. Dobbiamo vivere col nostro corpo per essere liberi. Dobbiamo sentire la sofferenza del corpo per liberarci. Se non viviamo col corpo non viviamo né siamo vissuti e non potremo essere liberi. Le cose astratte e spirituali, cioè reali, “si vivono solo attraverso il corpo”. Vissute fuori dal corpo o con un altro corpo non ci appartengono. E ne siamo dominati, ne diventiamo servi. Possiamo allora solo essere discepoli. E sofferenti in quanto mancanti. Mancanti di vita, di esperienza vitale, di sofferenza, di tragedia. “Ciò che è vissuto nel corpo dei padri, non può più essere vissuto nel nostro” scrive Pasolini. Il passato è un tempo infinito e reale. E spirituale. Ma non ci appartiene in quanto esperienza. Ne siamo solo discepoli. Non abbiamo vissuto col corpo il passato: ne siamo soltanto l’esito. Il nostro sacrificio è il passato. Noi assumiamo l’ordine dal ricordo e dalla celebrazione. Siamo noi a vedere il sangue sugli stipiti come il sangue dei tempi. Ma non è nostro quel sangue: non possiamo averlo versato: non siamo morti. Noi siamo vivi. Nel giorno che viviamo noi osserviamo le leggi che furono scritte dai padri. Dobbiamo confessare la nostra iniquità che è l’iniquità dei padri. I peccati per i quali anche noi ci siamo opposti, in vita, li abbiamo ricevuti dal paese dei padri. Allora il nostro cuore si umilia e si scatena la nostra colpa. La colpa carnale. Noi siamo costretti all’umilaizione della carne e a quella della colpa. Non possiamo costruire un’espiazione, una fuga dalla colpa del passato (del potere). Noi non possiamo costruire una salvezza. Poiché non abbiamo voluto e vissuto il luogo dei padri, né il tempo (il passato). Noi osserviamo gli statuti, i decreti, le leggi e il comando che i padri ci hanno prescritto. Li mettiamo in pratica sempre. Né possimo dimenticare l’alleanza con loro, coi padri. Ma noi temiamo i padri, ne abbiamo terrore. E li serviamo. Come loro hanno fatto coi loro padri. Ne vogliamo scrivere la storia per non allontanarci da essi, per ricordarli sempre. Noi siamo nulla senza i padri, senza la città in cui vollero fermarsi. Senza le terre che lavorarono, senza le epoche che bruciarono e i capri e i servi che vollero morti. Il mistero della “vita dei figli” è la prova della sofferenza. E’ la colpa e l’intenzione di uccidere i padri. E’ la rivoluzione. Esiste dunque una “continuità nel mistero (un corpo che vive la realtà)”. Il “senso di caducità”, il desiderio della morte, dell’esistenza stessa del mistero, rappresenta l’unica volontà di sopravvivenza dei padri nei figli e dei figli nei padri. Quando i padri hanno ucciso un giusto o quando lo hanno compreso e lo hanno amato, ci hanno tradito. Perché l’hanno fatto per noi, a posto nostro. Noi non lo volevamo. Noi non abbiamo generato nessuno. Siamo caduti dalle mani e dagli occhi dei padri e abbiamo giurato loro l’obbedienza. Gli abbiamo rubato il pane, li abbiamo chiamati “cani” ma abbiamo agito contro di noi, mai contro di loro. Che ancora esistono perché noi esistiamo. Non abbiamo mai restituito la testimonianza o il messaggio nostro. Non abbiamo mai detto. Perché il nostro messaggio (la rivoluzione) è solo nel futuro. E per natura il futuro è solo ideale, mai reale. Non è mai compiuto. E il mistero è “per eccellenza del passato: non solo del passato come esso ci appare nel presente (mistero dei padri), ma anche del passato come esso ci appare nel Futuro (mistero dei figli)”. La continuità della morte e del fallimento si identifica con la “contiunuità del passato” e del mistero dell’inappellabilità. I nostri padri hanno voluto e amato l’olocausto. Per salvarsi l’hanno amato. Per offrirsi alla danza dei loro padri, loro hanno invocato olocausti e commesso delitti e sacrifici di comunione. Noi pure li abbiamo amati i loro deliti. Noi abbiamo coperto i loro crimini e li abbiamo fatti i nostri crimini. Noi abbiamo liberato i capi dei loro eserciti e se li abbiamo uccisi lo abbiamo fatto su loro ordine. Abbiamo ascoltato le suppliche dei padri e le preghiere. Li abbiamo ascoltati e abbiamo asciugato le loro lacrime. Abbiamo bevuto il loro sangue e giurato nei loro templi. Abbiamo abitato le loro case e letto le loro parole e ci siamo rimessi ai loro cuori. Abbiamo mantenuto le loro promesse e gli abbiamo camminato davanti. Abbiamo peccato contro i fratelli, abbiamo sputato sul giusto e lo abbiamo ucciso facendogli cadere sul capo la nostra colpa. Abbiamo dichiarato assassino l’innocente rendendogli l’offesa per la sua innocenza. Abbiamo bramato il potere e abbracciato il fascismo. Abbiamo amato i padri e il potere dei padri. Abbiamo amato il fascismo, cioò l’esistenza stessa dei padri; i loro atti sono diventati la nostra fama. Abbiamo difeso il potere e il passato. E l’esistenza dei padri. Noi abbiamo ancora bisogno della vita dei padri, della loro storia. Che è la nostra vita e la nostra storia. E’ la nostra terra. E’ l’acqua dei nostri pozzi. Noi saremo servi per sempre. Cresciuti nella schiavitù dei padri, “saremmo presi da un’angoscia intollerabile” se non sapessimo riconoscere la nostra esistenza e il nostro potere nell’esistenza e nel potere dei padri. Alla morte dei padri ci seppelliremo con loro. Noi, padri di nuovi figli, cadeveri da vivi. Sepolti nell’altare del potere (del fascismo). Il potere (il fascismo) giura al popolo il regno “irrazionale” del “Mistero”. “Anche quando non lo vogliamo, il passato determina le forme di vita che immaginiamo o progettiamo per il futuro”. Se noi erigiamo con le pietre un altare al passato e al potere noi conteniamo già in un sacrario il futuro. L’acqua scorre verso quell’altare e inatno lo assorbe e lo traforma in passato. “il potere è l’ideologia dei potenti”. E dei padri: nessun fuoco può consumare l’olocausto o asciugare l’acqua. Ecco, un esercito circonda noi e la città: noi aspettiamo, come servi, che un cristo ci mostri la nostra salvezza. Ma non avverrà. Non avverrà la rivoluzione. Noi siamo “impotenti”. Siamo vittime di una terra liberata del futuro. Siamo il sangue dei padri e dei nostri figli. Noi siamo i figli del re che pose le teste dei giusti nei panieri; noi siamo i figli precipitati dalle montagne della libertà. Siamo i sepolti dall’inganno e dalla gloria del fascismo. Il padre, il potente, vuole “stabilizzare il passato”. Lo può fare perché lo possiede. Possiede il tempo in cui vive. Perchè vive nel corpo e nel rimorso della morte. Noi siamo i figli di quella morte; che abbiamo amato quando mettevamo le mani sui nostri nemici e su quelli dei padri. Abbiamo versato sangue “precario nel pensiero della vittima che vuole distruggere il passato”. Noi siamo fascisti perché sterminiamo il futuro. La sciagura di questo luogo sono le parole attuate del passato. Le parole violente. le parole contro questo luogo e contro i suoi figli. Noi non siamo ambigui: vogliamo il potere perché amiamo i padri e le loro parole. Noi riferiamo le parole dei padri ai nostri figli, le tramandiamo a loro. E li uccidiamo. I nostri figli sono però ambigui: loro vogliono prendere le ossa dai sepolcri e bruciarle sull’altare. Vogliono profanare le parole dei padri. Loro vogliono creare un futuro, “un domani incerto”. I nostri figli sono pazzi e fuggono nel torrente e piangono e ci abbandonano. I nostri figli uccidono i padri. Loro piangono perché rinunciano alla vita, la sola vita possibile: quella del potere (del fascismo) perpetrato e trasmesso, continuato e disposto alla giusta causa. Vi brucerà l’olocausto e l’offerta del sangue se sceglierete “una vita da vittima”. Le azioni di chi si allontana dal peccato del potere (del fascismo) avvengono nella distruzione della libertà.

Jonata Sabbioni

venerdì 10 dicembre 2010

CHRISTMAS TREE D'ARTISTA: LA DEFINITIVA MOSTRA DI NATALE - SPAZIO NOVADEA/LIBRERIA PROSPERI, ASCOLI PICENO

Titolo: Christmas Tree d'Artista: la definitiva mostra di Natale
Autori: Laura Baldini, Alberto Barbadoro, Max Bottino, Domenico Buzzetti, Luca Caimmi, Giacomo Carnesecchi, Veronica Chessa, Roberto Cicchinè, Tiziana Contino, Francesco D'Isa, Veronica Dell'Agostino, Francesco Diotallevi, Massimo Festi, Giovanni Gaggia, Alice Grassi, Alessandro Grimaldi, Erika Latini, Dario Molinaro, Erika Patrignani, Michele Pierpaoli, Giorgio Pignotti, Rita Soccio, Valeria Stipa
Cura: Dario Ciferri
Luogo: Spazio NovaDea-Libreria Prosperi, largo Crivelli 8 – 63100 Ascoli Piceno (AP)
Coordinamento: Sponge ArteContemporanea
Inaugurazione: sabato 11 dicembre 2010, ore 18:00
Periodo: 11 dicembre 2010 - 9 gennaio 2011
Orario: dal lunedì al sabato, 9.00-13.00 16.00-20.00
Info: (libreriaprosperi@hotmail.it) - tel/fax (0736-259888)



Quid est veritas (?), la terza stagione espositiva della home gallery Sponge Living Space di Pergola (PU), dopo le prime tre mostre : Il punctum di Rita, personale di Rita Vitali Rosati, Aimless, personale di Veronica Dell'Agostino ed Inner drawings/Drawings inside, di Claudia Gambadoro, propone il giorno 11 dicembre 2010 alle ore 18.00 la riedizione di Christmas Tree d'Artista: la definitiva mostra di Natale a cura di Dario Ciferri, originariamente presentata a dicembre 2009 presso Sponge Living Space di Pergola.

Christmas Tree d'Artista è una mostra circoscritta nello spazio di un albero sintetico, una collettiva inusuale che raccoglie una moltitudine di linguaggi che seguono tutti la stessa base di partenza: la palla natalizia.

“Realizzare una decorazione per l’albero - scrive Dario Ciferri - è stato l’input dato agli artisti invitati a Christmas Tree d’Artista, interpretare il Natale e le sue contraddizioni attraverso il proprio percorso artistico, il proprio linguaggio, la propria sensibilità. Lasciare un segno tangibile di una speranza, di un’incertezza, di una denuncia. La rappresentazione del sacro quasi non rientra nelle diverse palle di Natale presentate, si avverte più una constatazione della secolarizzazione che ormai circonda questo periodo dell’anno; possiamo anche leggere una denuncia della perdita del valore originario della festa, in nome dell’inseguimento dei regali e dei soldi. Riuscire a superare quanto ci mostrano i negozi e i servizi della tv, sopportare lo stillicidio di Babbi Natale appesi alle pareti, riuscire a sopravvivere all’iperalimentazione che fa sì che dal 6 gennaio si debba stare tutti a dieta. L’arte da sempre osserva la realtà che la circonda, la rappresenta, la irride ne racconta traumi, sofferenze, gioie e assurdità, l’arte è il modo più diretto che l’uomo ha per osservare se stesso, per raccontarsi a volte anche per educarsi.”

L'evento coinvolge 23 artisti: Laura Baldini, Alberto Barbadoro, Max Bottino, Domenico Buzzetti, Luca Caimmi, Giacomo Carnesecchi, Veronica Chessa, Roberto Cicchinè, Tiziana Contino, Francesco D'Isa, Veronica Dell'Agostino, Francesco Diotallevi, Massimo Festi, Giovanni Gaggia, Alice Grassi, Alessandro Grimaldi, Erika Latini, Dario Molinaro, Erika Patrignani, Michele Pierpaoli, Giorgio Pignotti, Rita Soccio, Valeria Stipa.
La mostra sarà visitabile fino al 15 gennaio 2010 dal lunedì al sabato, 9.00-13.00 16.00 20.00 presso lo Spazio NovaDea della Libreria Prosperi di Ascoli Piceno.

La seconda edizione, Christmas Tree d'Artista II: a Natale si è tutti più sinceri a cura di Jack Fisher sarà proposta presso Sponge Living Space di Pergola dal 4 dicembre al 9 gennaio.

Per ulteriori informazioni contattare il numero: tel/fax (0736-259888) consultare il sito www.spongeartecontemporanea.net.

mercoledì 1 dicembre 2010

APRITE GLI ARCHIVI DI STATO

Ripubblichiamo qui l'importante appello già apparso sul sito de "La Repubblica" in favore dell'apertura degli archivi di Stato ancora secretati e della fine di tutte le classificazioni di segretezza sui documenti legati al periodo dello stragismo in Italia. Invitiamo tutti a firmare questa petizione che giunge in una fase delicata per la memoria civile del Paese, dopo la conclusione dell'ennesimo processo senza condanne per la strage di Piazza della Loggia a Brescia e mentre la commissione parlamentare di controllo sui servizi segreti discute della possibilita' di reiterare il segreto di Stato oltre il limite dei 30 anni.

http://temi.repubblica.it/repubblica-appello/?action=vediappello&idappello=391200&ref=HREC2-5

Aprite gli archivi di stato, verità sulle stragi
Al Presidente della Repubblica, al Presidente del consiglio e ministri interessati, ai Presidenti di Copasir e delle Commissioni parlamentari d’inchiesta.

Un’intera stagione, quella dello stragismo che ha macchiato di sangue l’Italia, rischia di essere archiviata a seguito della recente sentenza sulla strage di Piazza della Loggia, Brescia, che ha assolto per insufficienza di prove tutti gli imputati. Un’assoluzione sulla quale ha pesato non il ricorso a segreti di Stato, bensì silenzi e reticenze di comodo, anche da parte di uomini appartenenti alle istituzioni.

Per garantire un cammino trasparente alla giustizia, anche in relazione al resto delle inchieste tuttora in corso per altri fatti di criminalità organizzata, e rendere possibile la ricerca storica su quegli anni, avvertiamo sempre di più una triplice esigenza:

chiediamo che siano aperti tutti gli archivi con una gestione che ne faciliti l’accesso a tutti i soggetti interessati, senza preclusione alcuna;

chiediamo che vengano fatte decadere tutte le classificazioni di segretezza su tutti i documenti relativi all’evento - compreso i nominativi ivi contenuti - in possesso in particolare dei servizi segreti, della polizia, dei carabinieri e della guardia di finanza, che i documenti vengano catalogati e resi pubblici senza distinguere tra documenti d’archivio e d’archivio corrente;

chiediamo che in tal senso sia data piena attuazione alla legge del 3 agosto 2007, n.124 che regola il segreto di Stato la quale prescrive che, passati al massimo trent’anni dalla data in cui è stato apposto il segreto sull’evento e sui relativi documenti o dalla data in cui sia stato opposto al magistrato che indagava, tutti i documenti che si riferiscono all’evento siano resi pubblici e consultabili. Non è più accettabile che a tutt’oggi manchino gli specifici decreti attuativi. In tal senso il Freedom of Information Act statunitense ci pare un modello a cui è possibile ispirarsi.

L’ipotesi, avanzata dalla commissione Granata nel Copasir, di reiterare il segreto di stato dopo trent’anni è inaccettabile.

Chiediamo alle nostre istituzioni di attivarsi il più decisamente possibile affinché gli Stati che sono oggetto di richieste di rogatorie internazionali collaborino fattivamente e rapidamente.

Occorre garantire alla verità e alla giustizia il giusto corso, non dobbiamo consegnare le generazioni che si sono succedute da allora ad oggi alla rassegnazione e all’avvilimento.

Auspichiamo una volontà politica reale volta all’accertamento di tutti i fatti criminali che hanno sconvolto la storia d’Italia.

SOFRI, NON CALPESTARE LA POESIA!

di Luigi-Alberto Sanchi


L'articolo commesso da Adriano Sofri su "La Repubblica" del 27 novembre 2010 ha qualcosa di irreale nella sua soave ignoranza. Sembra voglia battere tutti i record della contradditorietà: parla della lingua italiana trascurata ma la scrive in modo sciatto, dice ai giovani che i Palazzi del potere sono vuoti e non si accorge che lui stesso si trova in uno di essi, un Palazzo mediatico strapotente; informa sulla poesia neogreca disinformando al contempo su quella italiana; soprattutto, tuona che in Italia oggi la poesia impegnata non esiste... allorché lui stesso è stato per più d'un decennio al centro delle scritture poetiche e civili di Gianni D'Elia, uno dei più importanti rappresentanti della poesia italiana contemporanea (assieme a Franco Buffoni, Cesare Viviani, Alberto Bellocchio, Giuliano Scabia...) e, per colmo, suo ex-seguace politico!
No, le parole vengono meno quando si tratta di analizzare l'insondabile, menzognera arroganza di questo articolo. Eppur bisogna rispondere, umiliarsi a rispondere, ben sapendo che contro un medium come "La Repubblica" non servirà a niente e che, del resto, né allo spocchioso Sofri, né alla redazione del suo giornale, né a gran parte del pubblico può importare un fico secco della questione: il suo pezzo, Sofri l'avrà scritto in una mezza serata, fiero di aver trovato un tema serio da trattare quale la commemorazione di Elsa Morante e di poter dire che lui no, non se l'è lasciata sfuggire perché lui è più colto. E poi fa la lezioncina ai lettori del quotidiano nazionale parlando dei poeti greci usciti nei Meridiani. Ecco, la sua paginetta è buttata giù, spedita al giornale, pubblicata.
Passano tre giorni e tutti l'hanno dimenticata; i diretti interessati per primi perché tanto, oggi, il dibattito intellettuale sui giornali non esiste più. E così Sofri può deblaterare a buon conto, avanti il prossimo pezzo, la prossima predica più o meno sgangherata e mal redatta...
La prima smentita che si potrebbe dare all'improvvido Sofri è che qualche mese fa più di cento poeti italiani, ben poco soccorsi da "La Repubblica" e dagli altri media d'Italia, hanno dato vita ad un'iniziativa vibrante, vissuta e largamente seguita, sia su internet che in serate apposite, dal pubblico loro (ma non da Sofri) dal nome "Calpestare l'oblio. Cento poeti italiani contro la minaccia incostituzionale, per la resistenza della memoria repubblicana".
Seconda smentita: proprio quest'anno, nel silenzio più assordante di "La Repubblica" e di altri media, è uscita l'antologia "Trentennio" del già citato Gianni D'Elia, bilancio biografico, poetico e politico di una generazione. Per una volta in un volume di trecento pagine invece delle cento consentite di norma dalla collana di poesia di Einaudi, si tratta dell'ultimo titolo di una ormai lunga serie. Ma questo per Sofri non conta nulla.
Terza smentita: contrariamente a quanto sostiene il male informato articolista che fulmina contro le tendeze frivole dei poeti italiani così poco impegnati, negli ultimi anni la poesia del nostro paese sta cambiando. Né è testimone il "Portale di poesia e realtà" che è "La Gru", l'afflusso che registra di poeti giovani o già maturi, ma anche la critica più recente, per esempio quella di Daniele Maria Pegorari, autore di "Critico e testimone. Storia militante della poesia italiana 1948-2008" (Morelli&Vitali, 2009).
La smentita finale tiene in due parole: Roberto Roversi. Un nome e un cognome. Spero di non avere bisogno di dire altro sul più gran poeta civile italiano, che ha pubblicato l'edizione della sua opera, "L'Italia sepolta sotto la neve", in edizione domestica (trentadue copie), dato il livello dell'udienza.
Allora scrivere quel che Sofri ha scritto quando la realtà è tutt'altra, e addirittura quando quella realtà letteraria si occupa pure di lui, della sua troppo lunga prigionia, del suo essere politico, diventa una tragica beffa.
Questo tipo di sberleffo tuttavia è destinato a restare senza una risposta mediatica equivalente, né Sofri stesso consentirà mai ad una ritrattazione o una parola di rammarico, perché il suo scritto è apparso su di uno dei giornali che più hanno contribuito in questi ultimi anni a mascherare la viva e plurale realtà d'Italia, a svilire ogni opposizione, a negare ogni vera alternativa: si veda il poco e nulla che combinano i suoi referenti del P.D.
"La Repubblica " che paga Sofri è il contenitore ideale per questo tipo di ciarlataneria apparentemente impegnata, in realtà frivola, mistificatrice, disperante.
Che cosa sarebbe costato all'incredibile Sofri usare il suo articolo, cioè il suo strapotere mediatico, per dire tutt'altra cosa, per informare gl'italiani che sì, la poesia impegnata in Italia esiste, è vivace, intelligente e, soprattutto, è bellissima, efficace, appassionante?
In conclusione, mi pare che il buon Sofri, dal suo palchetto o pulpito mediatico, abbia un problema a vedere la realtà. E' prigioniero di una forma di languore abulico, di chiusura mentale, di smemoratezza politica, oltreché d'ignoranza poetica. Che dirgli per aiutarlo a liberarsene? Sofri, esci dalla tua prigione mentale, non calpestare la poesia italiana!