mercoledì 13 gennaio 2010

Intervento d'apertura di Davide Nota all'assemblea dei poeti contro l'oblio (8 gennaio 2010, Roma)

Terrei ad aprire questa assemblea ponendo sul tavolo del nostro convivio alcuni temi, su cui si potrà spero discutere assieme e a partire dai quali siete chiamati tutti ad intervenire, inziando dagli interventi degli amici e poeti Franco Buffoni, Pietro Spataro, Flavio Santi, Maria Grazia Calandrone ed Enrico Piergallini.

A me sembra innanzitutto che la nostra iniziativa "Calpestare l'oblio", con tutti i mille difetti che una iniziativa spontanea e non filtrata può contenere, abbia significato qualcosa e che sia già "un significato" aggiunto alla nostra sebbene marginale storia.

Il primo significato aggiunto è, secondo me, proprio questo: e cioè che una storia minore, la poesia italiana, si è considerata parte integrante e non separata nè separabile di una storia "complessiva" e "complessa", la cultura; ed ecco che riacquisita la consapevolezza del contesto, e dunque dell'azione possibile interna a tale contesto, anche un movimento minore come la poesia può e deve assumersi le responsabilità proprie di ogni agente dialettico, "il senso di responsabilità" di chi apprende di essere parte di una rete di relazioni su cui può operare azioni e da cui può attendere reazioni.

Ecco, in questo modo l'oblio particolare del genere proprio, la poesia, è stato inteso non con vittimismo autoreferenziale ma come individuazione di un oblio generale, che è la storia delle tante rimozioni operate dalla rappresentazione ufficiale, la comunicazione italiana, l'acculturatrice ideologica del groviglio di poteri in atto che chiamiamo "berlusconismo", e all'interno proprio della comunicazione la poesia ha agito non come linguaggio autonomo ma relativo, cioè in relazione con un'alterità, l'auditorio non specialistico, e con un contesto, la storia.

Il genere rimosso - che non vuol dire morto, ma anzi vivo, vegeto e palpitante al di là del muro di Berlino delle quinte rappresentative - il genere rimosso della poesia, che è solo una delle tante rimozioni inconsce o consce di un'epoca in quanto realtà non funzionale alla riduzione dell'individuo a ruolo operata dalla controriforma del capitalismo italiano postmoderno, ha svolto un'azione dimostrativa, e per me "Calpestare l'oblio" ha fondamentalmente questo valore. Abbiamo preso un tema caldo del dibattito pubblico, la memoria repubblicana, e lo abbiamo affrontato con le armi della poesia, che sono le armi dello sguardo complessivo e polisemantico, a partire da un'inversione nel titolo per cui il classico tema della memoria della resistenza è divenuto il tema anche della "resistenza della memoria", che alcuni dei poeti presenti hanno infatti affrontato da un punto di vista lirico e metafisico; insomma, arrivando al dunque perchè non voglio dilungarmi, la poesia italiana ha "dimostrato" di esistere e lo ha dimostrato pubblicamente, ed ha dimostrato di non essere un'area morta dei linguaggi e di poter interagire anche con un pubblico non specialistico, non di addetti ai lavori né di iniziati all'analisi delle figure retoriche o della prosodia e metrica. La poesia italiana ha cioè dimostrato di poter essere letta ed assimilata come viene letto ed assimilato un romanzo, una composizione musicale o un'opera cinematografica, e quindi anche ad un livello spontaneo e non scolastico, perchè - ed è questo un altro tema che metto sul nostro tavolo di lavoro - la rimozione del genere poetico da parte della comunicazione italiana è andata a braccetto, secondo me, con un processo speculare, e cioè con l'autoreclusione patologica, da sindrome di Stoccolma, del rifiuto da parte dei poeti di ogni tipo di relazione con l'esterno, con le altre discipline, con gli altri linguaggi e discorsi della società italiana.

Ecco, secondo me "Calpestare l'oblio" vuole dire, a primo impatto, due cose molto semplici, e cioè che 1) quella che abbiamo chiamato "Ideologia della separazione", e cioè la restaurazione del meccanicismo sociale, la funzionalizzazione della società intesa come catena di montaggio economico, finanziario e consumistico fine a sè stesso (e parallelamente, dunque, la neutralizzazione del Sapere, di quello che fu nel Novecento il pensiero critico, mediante la separazione delle discipline e dei linguaggi), ecco questa ideologia della storia è da noi oggi percepita come una ideologia stagnante e dunque superata, e che dunque noi contestiamo e denunciamo come si contesta un peso arbitrario di cui si è assunta una certa consapevolezza; 2) le strutture, i giornali, i media, le organizzazioni politiche e culturali che si danno come valore costitutivo la critica di tale ideologia non possono latitare sulla questione culturale e dunque neppure sul discorso della poesia, che assieme alla musica compositiva è una delle arti più ferite e umiliate dal fenomeno culturale del "berlusconismo", specialmente se il discorso poetico è poi capace, come lo è, di aprire delle questioni transdisciplinari, in dialogo con la storia, con la filosofia, con la politica, e soprattutto con l'etica, e non sto parlando di poesia civile, perchè solo per fare un esempio al giorno d'oggi sarebbe scandalosamente attuale e politico anche pubblicare in prima pagina un sonetto di Shakespeare per parlare di amore tra individui, tra soggetti, e non tra generi sessuali o ruoli.

Insomma, io credo che abbiamo dimostrato, visto che nessuna argomentazione teorica è più incisiva della dimostrazione pratica, il potenziale della poesia senza aggettivi, e penso che la dimostrazione è andata bene, se da un e-book di poesia partorito davvero dalla periferia della provincia, e dal web, grazie soprattutto alla sensibilità di un giornalista anomalo in quanto poeta, Pietro Spataro, siamo stati rilanciati da L'Unità, per poi provocare questo effetto domino su tutte le testate che sapete: Libero, Il Foglio, Il Giornale, Gli altri, Il Corriere della Sera, Radio 24, Il manifesto, Left, oggi Radio 3, e il dogma della non incisività, quasi per condizione naturale, della poesia nel dibattito pubblico, è stato infranto.

Riassumendo, penso che le questioni da affrontare pubblicamente siano due: 1) la questione culturale tout court in Italia, cioè la presa di coscienza di un'epoca nazionale che io chiamo "Il Trentennio", iniziato simbolicamente nel 1978, con l'acquisizione di Telemilano da parte dell'imprenditore Berlusconi, e finito simbolicamente nel 2009, con il passaggio della Tv via etere al digitale terrestre, passaggio che rappresenterà nei prossimi anni la crisi di un monolite mediatico sprezzante della cultura e il passaggio ad una concorrenza più vasta, certamente tra gruppi di potere e lobby, all'interno della quale però la cultura, la riflessione, il pensiero critico, l'arte, potranno e dovranno trovare un proprio spazio, per cui da questa piccola iniziativa autogestita dei poeti potrebbe nel tempo seguire una vera e propria presa di posizione più complessiva da parte della cultura e dell'arte italiana per un nuovo media, anche pubblico.

Insomma, quel che possiamo iniziare a fare, a partire da oggi, non è altro che questo, smetterla di considerarci come monadi autonome e costituire un metaforico legame, perchè non è vero che il legame con l'alterità sia prigionia non più di quanto non lo sia il suo contrario, se proprio Ulisse fu salvo dal canto delle sirene e potè portare a termine la propria missione grazie ad un legame, affettivo e reale; e le sirene non hanno smesso di cantare. Non voglio dire altro che questo: continuiamo questa rete di discussione e di relazione e di progetto comune, e assieme all'oblio calpestiamo anche le diffidenze di gruppo, regionale o stilistico - perchè la guerra tra poveri è un'altra delle caratteristiche dell'auto-annichilimento della poesia italiana contemporanea - e mettiamo in moto una metaforica "Officina" del pensiero critico e poetico ed artistico in Italia.

La seconda questione è quella squisitamente poetica, per cui il mio è per andare al sodo un appello perchè gli strumenti di divulgazione di quella che siamo soliti chiamare la "Sinistra", l'area cioè che dovrebbe essere interessata allo sviluppo di una sensibilità e di un pensiero alternativi all'omologazione consumistica e alla società dello spettacolo italiana, concedano spazio alla poesia italiana, che è in sè una rivolta contro il Trentennio.

Questi sono alcuni dei temi che possiamo affrontare e che possono essere presi come pretesto per iniziare un piccolo dibattito.
Mi scuso se il mio discorso è stato molto semplice ma l'ho preferito impostare in questo modo, perchè credo sia più efficace individuare dei punti chiave anche per la comunicazione verso l'esterno. Ora lascio il microfono ai primi ospiti...



[Intervento successivo: Franco Buffoni, puoi leggerlo qui]

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