lunedì 23 novembre 2009

La poesia al tempo di B.

Davide Nota [Il fatto quotidiano, 20 novembre 2009]


«Ma siamo oggi./ Gli individui esistono solo morti./ I borghesi sono tutti gli uomini./ I poeti, i soli uomini individui,/ sono spesso dei borghesi o dei morti.” (Gianni D’Elia, Non per chi va). La grande disfatta della poesia italiana contemporanea inizia nel 1975: Eugenio Montale riceve il Premio Nobel, Pier Paolo Pasolini viene barbaramente assassinato. Per l’ultima volta, sebbene per due motivi sciaguratamente dissimili, i volti di due poeti entreranno nelle case degli italiani. Per l’ultima volta la poesia italiana darà il suo contributo iconografico al sistema culturale e identitario nazionale. La seconda data chiave è il 1976: il movimento studentesco si guarda negli occhi durante il secondo ed ultimo Festival del Parco al Lambro di Milano, Telemilanocavo inizia a trasmettere via etere. Nel 1978, mentre le Brigate Rosse rapiscono ed uccidono Aldo Moro, Silvio Berlusconi acquisisce Telemilano. Ciò che segue è la storia del Trentennio (definizione di Giampiero Marano, su «La Gru», ed anche un titolo di prossima uscita di D’Elia) della interruzione culturale e della società dello spettacolo italiana.
Se la prima generazione del post-moderno poetico nazionale (Bellezza, Buffoni, Cucchi, De Angelis, Magrelli, D’Elia etc.) può ancora godere della disponibilità di alcuni grandi editori, di una capillare distribuzione per librerie e soprattutto di una discreta attenzione critica, la generazione successiva, quella dei cosiddetti poeti nel limbo (definizione di Marco Merlin), è la prima a vivere e subire integralmente la drammatica condizione dell’oblio totale del poeta all’interno della società italiana. Nel naufragio del disimpegno programmatico affoga la figura del poeta-intellettuale.
«Ma siamo oggi», à la fin de la décadence berlusconiana, in un Paese culturalmente devastato che ignora i propri poeti al punto da pensare che siano tutti morti.
Invece i poeti italiani esistono e resistono, nel sottobosco non rappresentato della Storia nazionale. Le nuove leve fertili e tradite.
Certo, siamo abituati ad una destra che, consapevole dell’inconsistenza critica del proprio avversario, cerca di vendersi come la cura al male da lei stessa procurato. E siamo anche abituati ad una sinistra sempre pronta ad imitare quello stesso male. Eccoci così di fronte al nuovo paradosso della storia ultima nostra: il mecenatismo culturale dei berluscones.
Le rubriche di critica poetica scompaiono dai giornali della sinistra italiana per trovare invece largo spazio su «Libero», «Il Giornale», «Avvenire», o su «Il domenicale» di Marcello Dell’Utri ed Angelo Crespi, attuale consulente del Ministro Sandro Bondi. In quota C.L. il poeta Davide Rondoni lancia e lega a sé tutta una generazione di autori di venti e trent’anni, al contempo fondando una e-fanzine di poesia e cultura militante, «ClanDestino-zoom», un cui recente editoriale titolava “Perché non possiamo non dirci berlusconiani”.
Dall’egemonia al revisionismo il passo è breve. Ed ecco le opere di Baudelaire, Rimbaud e Pasolini rilette e diffuse di pubblicazione in meeting secondo una chiave clericale e conservatrice, in un processo inarrestabile di dequalificazione terminologica, appropriazione iconografica e manipolazione ideologica. Intruppare per disinnescare, o per inibire. Un tempo avremmo tutto ciò chiamato “questione culturale”, perché poesia (insegnavano Vittorini e Fortini, dalle pagine de «Il Politecnico») non è soltanto il piacere di leggere bei versi ma quello, anche, di comprendere un’azione estetica, e perciò filosofica, e perciò politica, agita sul corpo del mondo.
Qualcuno dei nostri saprà ancora comprenderlo? Salviamo la poesia italiana dall’oblio dello spettacolo, e dall’abbraccio pesante dei suoi vecchi assassini.

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